Il Sistema di Mitigazione del Dissesto Idrogeologico sull’Isola d’Ischia (1936): Un Capolavoro di Ingegneria Idraulica

Introduzione

L’isola d’Ischia, situata nel Golfo di Napoli, è caratterizzata da una morfologia complessa e un substrato geologico vulcanico che la rendono vulnerabile a fenomeni di dissesto idrogeologico. Il Monte Epomeo, il rilievo più alto dell’isola, e la disposizione delle colline circostanti, contribuiscono alla formazione di bacini idrografici soggetti a frane e alluvioni. Tra gli eventi più devastanti del passato, la frana del 1910, causata da piogge intense, segnò profondamente il territorio, distruggendo parte di Casamicciola e altri centri abitati.
Per prevenire ulteriori catastrofi, nel 1936 fu realizzato un sistema innovativo di mitigazione del dissesto idrogeologico, un’opera commissionata dalla Milizia Forestale Nazionale e concepita per proteggere le aree urbane e agricole dell’isola. Questa rete di briglie, canali e vasche di espansione, progettata per dissipare l’energia dei flussi idrici e frenare i detriti, rappresenta un esempio di ingegneria idraulica avanzata per l’epoca.

Contesto Storico e Geologico

Ischia è di origine vulcanica, e il suo sviluppo geologico è il risultato di una lunga e complessa attività eruttiva. Il Monte Epomeo, che con i suoi 789 metri è la vetta più alta dell’isola, rappresenta il fulcro di questo processo. Questa struttura montuosa è composta principalmente da tufi e brecce vulcaniche, materiali che, pur essendo porosi e leggeri, sono anche fragili e soggetti a rapida erosione. Il suolo vulcanico, combinato con la morfologia fortemente inclinata dei versanti, crea le condizioni ideali per l’innesco di frane e smottamenti, specialmente in periodi di piogge intense o persistenti.
Il Monte Epomeo è un antico vulcano che, oltre a dominare il paesaggio dell’isola, costituisce uno degli elementi principali per la comprensione dei fenomeni di instabilità geomorfologica. Le sue pendici sono caratterizzate da pendenze elevate, con declivi particolarmente ripidi, che facilitano il rapido deflusso delle acque piovane. Questi fattori, combinati con la natura friabile dei materiali rocciosi, contribuiscono a rendere il monte uno dei principali attori dei fenomeni di dissesto.
Le numerose frane che si sono verificate negli ultimi secoli sono state spesso originate proprio dalle aree più alte del Monte Epomeo, dove i pendii scoscesi e la vegetazione ridotta aumentano la probabilità di innesco dei fenomeni franosi. Le zone più vulnerabili sono quelle situate tra i centri abitati di Casamicciola, Lacco Ameno e Forio, che si trovano a valle dei versanti del monte.
Ischia ha una lunga storia di eventi franosi e alluvionali, con testimonianze che risalgono già al XVIII secolo. Tra gli episodi più gravi si annoverano la frana del 1910, l’evento tragico del 2009 e il recente disastro del 2022. Ciascuno di questi eventi ha portato alla perdita di vite umane e a danni significativi alle infrastrutture, dimostrando la fragilità dell’isola di fronte a fenomeni meteorologici estremi.

L’Evento Franoso del 1910

Nella notte tra domenica 23 e lunedì 24 ottobre 1910, una serie di intense piogge si abbatté sull’isola d’Ischia, causando frane e alluvionamenti in diverse aree, con effetti particolarmente gravi nel comune di Casamicciola. Il disastro colpì l’intera comunità, e le sue devastanti conseguenze furono documentate sia attraverso fonti archivistiche che da numerose immagini fotografiche dell’epoca, come riportato da Cubellis et al. (2008).
L’evento causò un numero di vittime compreso tra 15 e 18, secondo le fonti storiche disponibili. I dati pluviometrici della stazione di Ischia Porto registrarono, tra le 6 e le 10 del 24 ottobre, un quantitativo impressionante di 250 mm di pioggia, un valore straordinariamente elevato, soprattutto considerando le precipitazioni che avevano già colpito l’isola nei giorni precedenti. Le maggiori instabilità del terreno si verificarono tra Casamicciola e Ischia, come descritto dettagliatamente nelle ricostruzioni.

Uno dei fenomeni più devastanti avvenne sul monte Buceto, dove l’acqua e una massa impressionante di detriti, compresi massi di grandi dimensioni (alcuni fino a 5 metri cubi), si riversarono verso Piazza Bagni, dopo aver ostruito l’alveo presso Piazza Monte della Misericordia. La colata di fango e pietre travolse alberi, case e infrastrutture, depositando i detriti prevalentemente nei rioni di San Severino e Umberto I. Il fronte della frana, largo circa 200 metri, discese rapidamente dal monte fino a riversarsi sul rione San Severino e poi nel rione Umberto I, raggiungendo infine il mare attraverso il Vico Sanfelice. La devastazione fu tale che, secondo il quotidiano “Il Giorno” del 25-26 ottobre, un accumulo di fango e detriti formò una nuova lingua di spiaggia larga circa 40 metri. Piazza Bagni fu completamente distrutta, con massi alti oltre 10 metri che si staccarono dalle pendici del Monte Epomeo. Anche molti stabilimenti balneari furono gravemente danneggiati, tra cui Lucibello, Ferrara, Verde, Barbieri, e stabilimenti termali come Manzi e Belliazzi, parzialmente coperti da fango e detriti. Nella zona si aprì inoltre una voragine di dimensioni impressionanti: circa 30 metri di profondità e 50 di larghezza, nei pressi degli stabilimenti Castagna e Laura. Gravi danni furono riportati anche da strutture ricettive come gli hotel Morgera e Quisisana, soprattutto ai piani inferiori. Le perdite umane furono pesanti: quattro corpi furono trovati alla marina di Casamicciola, mentre altre cinque persone risultarono disperse e mai ritrovate. Il rione di baracche, ancora utilizzato dalle famiglie colpite dal terremoto del 1883, fu completamente sommerso dalle acque, lasciando centinaia di famiglie senza una casa.  Anche nel rione La Rita si verificarono effetti catastrofici, con una devastazione che investì Lacco Ameno, distruggendo la parte alta del paese e causando il crollo di case e stabilimenti balneari, tra cui Mennella e Avita. I vigneti sulle pendici del Monte Epomeo, fonte importante di sostentamento per la popolazione locale, furono completamente distrutti. A Lacco Ameno, le contrade della Cava e del Pozzillo furono colpite duramente, e la sorgente di acqua potabile fu sepolta dall’alluvione, aggravando ulteriormente la situazione. Le altre località dell’isola, come Forio, Panza, Barano e Serrara Fontana, subirono anch’esse gravi danni causati da frane, flussi iperconcentrati e alluvionamenti. Questi eventi distrussero case, strade e attività produttive, in particolare quelle legate alla viticoltura, che all’epoca rappresentava una delle principali fonti di reddito per l’isola. Tali danni furono analizzati e documentati con grande precisione da Bordiga (1914). Tra le aree più colpite nel comune di Casamicciola figuravano quelle situate in prossimità delle cave Sinigallia e  Fasaniello, dalle quali si riversarono flussi iperconcentrati verso Piazza Bagni. Qui, l’enorme quantità di detriti, inclusi massi di grandi dimensioni, testimoniava l’elevata capacità di trasporto del flusso alluvionale. Un’altra area particolarmente devastata fu quella dell’alveo **La Rita** nel comune di Lacco Ameno, alimentato da un bacino idrografico che si estendeva principalmente nel territorio di Casamicciola. L’evento del 1910 segnò profondamente l’isola d’Ischia, evidenziando la necessità di implementare strutture idrauliche e sistemi di difesa del territorio, come poi sarebbe avvenuto con la realizzazione delle opere di mitigazione idrogeologica nel 1939.

Conseguenze dell’Evento e la Necessità di Interventi

L’evento del 1910 fu un punto di svolta nella consapevolezza del rischio idrogeologico per la popolazione e le autorità locali. L’isola, con la sua geologia instabile, aveva bisogno di un sistema integrato che permettesse di gestire e controllare i flussi idrici e i detriti provenienti dai pendii, in modo da evitare che simili tragedie si ripetessero. Fu chiaro che il Monte Epomeo, con i suoi versanti ripidi, necessitava di un piano strategico per controllare i rischi.
Le pressioni crescenti, sia a livello locale che nazionale, portarono le autorità a pianificare un intervento strutturale a lungo termine per mitigare i rischi di dissesto idrogeologico. Questo divenne particolarmente urgente dopo altri episodi di frane minori verificatisi negli anni successivi, che ribadirono l’importanza di intervenire con un piano complessivo di protezione idraulica.

Progettazione e Realizzazione delle Opere nel 1936

Nel 1939, la Milizia Forestale Nazionale, in collaborazione con ingegneri e tecnici del settore, avviò la realizzazione di un imponente sistema di opere idrauliche destinate a mitigare il rischio di frane e alluvioni sull’isola d’Ischia. Questi interventi si concentrarono principalmente sui versanti del Monte Epomeo e sulle aree circostanti i principali centri abitati come Casamicciola e Lacco Ameno, particolarmente vulnerabili.

Briglie e Canali

Uno degli elementi chiave del progetto erano le briglie in muratura. Queste strutture furono costruite lungo i principali corsi d’acqua e le zone di colata detritica. Le briglie avevano lo scopo di interrompere la continuità delle colate di fango e detriti, rallentando e spezzando il flusso per evitare che raggiungesse i centri abitati con troppa velocità e forza distruttiva. Queste briglie furono realizzate in muratura con un rivestimento esterno in pietra lavica, un materiale locale caratterizzato da una notevole resistenza all’erosione e al tempo.
I canali di scolo, costruiti con la stessa tecnica, furono progettati per incanalare l’acqua in eccesso verso bacini di laminazione ed espansione, evitando che l’acqua si accumulasse sui pendii e causasse ulteriori frane. Questo sistema permetteva di ridurre significativamente la quantità di acqua che poteva infiltrarsi nei terreni instabili.

Vasche di Espansione e Laminazione

Il sistema di vasche di espansione e laminazione rappresentava il cuore dell’intervento. Queste vasche, disposte in punti strategici lungo il versante del Monte Epomeo, avevano il compito di rallentare i flussi d’acqua e detriti, consentendo una gestione più controllata dei deflussi in caso di piogge intense. Le vasche di laminazione trattenevano temporaneamente l’acqua, riducendo la portata dei flussi a valle e prevenendo il rischio di alluvioni improvvise nei centri abitati.
Ma oltre alla loro funzione idraulica, le vasche rivestivano anche un ruolo economico importante: il fango raccolto veniva infatti utilizzato per le rinomate cure termali dell’isola. In prossimità di ogni vasca di espansione sorgeva un impianto termale che sfruttava il fango ricco di minerali per scopi terapeutici. Questo utilizzo parallelo delle strutture idrauliche a fini sanitari ed economici rappresentava una fusione tra sicurezza e sviluppo economico locale, un approccio avanzato per l’epoca.

Opere Minori per la Stabilizzazione dei Versanti

Oltre alle grandi infrastrutture come briglie e vasche, vennero realizzate anche opere minori ma altrettanto essenziali per garantire la stabilità dei versanti più ripidi. Tra queste si annoverano le fascinate e le parracine piccoli muretti a secco costruiti lungo i pendii per consolidare il terreno e prevenire smottamenti locali. Queste opere, sebbene semplici, giocavano un ruolo cruciale nel prevenire l’erosione superficiale e nel garantire una maggiore stabilità alle pendici del Monte Epomeo.
Le fascinate, realizzate con materiali naturali come rami intrecciati, venivano collocate lungo i pendii più esposti per trattenere il terreno e rallentare l’erosione. Le parracine, muretti a secco tipici delle aree rurali del sud Italia, contribuivano a ridurre la velocità di deflusso delle acque piovane, permettendo al suolo di assorbire gradualmente l’acqua.

Il Ritrovamento a Seguito dell’Evento Franoso del 2022

Nel novembre 2022, un altro disastroso evento franoso ha colpito nuovamente Casamicciola, risvegliando drammaticamente il ricordo del tragico episodio del 1910. La frana, causata da piogge torrenziali e dal progressivo degrado del suolo nelle zone collinari, travolse strade e abitazioni, causando vittime e danni ingenti alle infrastrutture locali. Di fronte a questa emergenza, le autorità hanno messo in atto un piano di intervento per la riduzione del rischio residuo, il ripristino della sicurezza del territorio e garantire l’officiosità idraulica degli alvei, pesantemente ostruiti dai detriti.
Durante i lavori di emergenza, i tecnici impegnati nella rimozione dei detriti e nel ripristino degli alvei hanno riportato alla luce le antiche opere idrauliche realizzate nel 1939 dalla Milizia Forestale Nazionale. In particolare, sono state ritrovate briglie, vasche di espansione e canali nelle zone più colpite dai fenomeni franosi, come l’alveo del Fasaniello, del Negroponte, del Sinigallia e del Cuccufriddo. Queste strutture erano state sepolte sotto uno strato di circa 6 metri di materiali accumulati nel corso degli anni, dimenticate e nascoste dal tempo e dalla sedimentazione naturale.

Il ritrovamento di queste opere ha dimostrato l’ingegnosità e la lungimiranza delle soluzioni tecniche adottate all’epoca. Le briglie e le vasche di espansione, costruite con un rivestimento esterno in pietra lavica e concepite per dissipare l’energia potenziale delle colate di detriti, si sono dimostrate strutturalmente efficaci e resistenti, nonostante decenni di abbandono. Le dighe e le vasche ritrovate erano progettate per gestire grandi quantità di materiale detritico, evidenziando come il sistema originario fosse stato concepito per prevenire i disastri causati dal dissesto idrogeologico in aree altamente vulnerabili come quelle di Casamicciola.
In alcuni casi, le strutture emerse presentavano un’attenzione ai dettagli costruttivi degna di nota: finiture eseguite con grande minuzia e pietre lavorate con precisione, segno di una cura artigianale che conferisce a queste opere un valore storico oltre che ingegneristico. L’alveo del Sinigallia, in particolare, ha restituito le opere più imponenti, tra cui autentiche dighe che fungevano da barriere per la raccolta e il rallentamento dei flussi detritici. Queste dighe, costruite in muratura e rinforzate con pietra lavica, avevano lo scopo di trattenere grandi quantità di acqua e detriti, consentendo una gestione controllata delle colate e proteggendo così i centri abitati a valle.
La riscoperta di queste strutture offre un’importante opportunità non solo per potenziare il sistema di difesa idrogeologica dell’isola, ma anche per valorizzare un patrimonio ingegneristico del passato. Oggi, come allora, le opere rappresentano un pilastro fondamentale per la protezione del territorio e dimostrano come le tecniche di ingegneria idraulica tradizionale possano essere integrate con le soluzioni moderne per garantire una maggiore sicurezza.

Conclusioni

Il sistema di mitigazione del dissesto idrogeologico realizzato sull’isola d’Ischia nel 1939 rappresenta un esempio straordinario di ingegneria idraulica. Le opere progettate con grande lungimiranza, non solo proteggevano le aree abitate, ma svolgevano anche una funzione di valorizzazione del paesaggio, integrandosi perfettamente con l’ambiente naturale.
La riscoperta di queste strutture dopo l’evento franoso del 2022 dimostra l’importanza di conservare e restaurare i sistemi idraulici storici, che possono ancora oggi offrire soluzioni efficaci per la protezione del territorio. L’approccio multidisciplinare adottato nel 1936, combinando sicurezza idrogeologica e sostenibilità ambientale, rappresenta un modello di riferimento per gli interventi moderni, dimostrando che anche in un contesto così delicato come quello di Ischia, l’ingegneria idraulica può offrire risposte durature e innovative.

RIFERIMENTI

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